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L’Armadio dei Vescovi: a Vercelli la storia si racconta con stile

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Nonostante le chiusure e le aperture intermittenti dovute all’emergenza sanitaria, a Vercelli esiste un piccolo museo che non si è fermato. Con una vocazione doppia, laica e religiosa, il Museo del Tesoro del Duomo ha continuato a raccontare la storia di Vercelli, anche durante la pandemia e ha lavorato per incrementare questa narrazione con alcune novità, oggi disponibili per ricercatori, visitatori e studenti. 

Gestito dalla Fondazione Museo del Tesoro del Duomo e Archivio Capitolare, il percorso espositivo racconta parte della storia dell’Arcidiocesi di Vercelli, plurimillenaria, legata indissolubilmente al santo patrono Eusebio, primo vescovo della città e del Piemonte.
Nel corso dei mesi di emergenza sanitaria, la Fondazione ha lavorato su due mondi: quello virtuale, con i racconti da casa tramite i social Facebook e Instagram, lo sbarco su Google Arts & Culture e la realizzazione di un videogioco presto in uscita; quello reale, imbastendo e portando avanti progetti in vista della riapertura. 

Nuovo allestimento “Armadio dei Vescovi”

Ultima novità: l’Armadio dei Vescovi. Una porta murata, all’interno di una sala rosso papavero, ha dato il via alla realizzazione di una nuova sezione espositiva del Museo. Già nella wishlist della Fondazione da qualche tempo e oggetto di studi, la nuova area espositiva si è concretizzata grazie al fondamentale contributo del Lions Club di Vercelli che ha voluto dare un segnale tangibile di ripartenza, attraverso la cultura. 

Cosa si espone in un armadio a muro? Gli accessori: guanti da chiroteca, scarpe dalla passamaneria importante, anelli e croci pettorali indossate dai vescovi dell’Ottocento e del Novecento. Oggetti alla moda dei tempi che in realtà rimandano a simbologie, rituali e insegne vescovili, nonché alle celebrazioni solenni che si svolgevano presso la Cattedrale di Vercelli. 

Nella stessa sala, convenzionalmente definita una delle Stanze del Papa, è stato ricollocato il paramentale di Papa Giulio II, al secolo Giuliano della Rovere, vescovo di Vercelli all’inizio del Cinquecento. Il della Rovere dalla città non è mai passato, vista la brevità della sua carica e i suoi affari politici e diplomatici, ma ha inviato a Vercelli un piviale ed una pianeta tipicamente rinascimentali, con ricami in filati d’oro ed elaborati apparati decorativi che rimandano ad una manifattura veneziana cooperante con una fiammingo-borgognona. 

In un dialogo perfetto, il paramento parla con altre opere del Rinascimento: una tavola con l’Adorazione dei Magi di Gerolamo Giovenone (1515) e un Arazzo con il Battesimo di Cristo (prima metà XVI secolo), laddove i tessuti raffigurati nelle opere raccontano i dipinti in filo e viceversa. Ma cosa c’era oltre alla tecnica, al luccichio dell’oro in fili e alla solennità dei paramenti? L’intimo momento della vestizione dei vescovi che, consapevoli del loro ruolo, indossavano con fierezza le insegne spettanti loro, a volte giunte proprio dalle mani del Papa.

Ecco allora profilarsi all’orizzonte un nuovo racconto della Fondazione, costellato dalle storie di grandi personaggi, conosciuti anche fuori dalla cerchia vercellese: Alessandro D’AngennesCarlo Lorenzo PampirioGiovanni Gamberoni e di Giacomo Montanelli. Storie di vescovi, arcivescovi, papi, con un occhio alla moda del tempo, curiosando tra oggetti che dalla sfera intima e privata si manifestano in quella pubblica durante le celebrazioni. 

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