Jacopo di Cera su Sospesi, la mostra a Milano dal 21 Marzo

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Sospesi apre, a Milano, dal 20 al 23 Marzo 2025. La mostra, già esposta a Roma e curata da Serena Tabacchi, porta in scena gli scatti di Massimo Vitali e Jacopo di Cera.

Qualche settimana fa abbiamo incontrato Jacopo. Ecco cosa ci ha raccontato.

In “Sospesi”, la fotografia dall’alto riflette il tema principale della mostra che è la sospensione. Ci troviamo davanti a un punto di vista sopra elevato. Da cosa nasce l’interesse per questo punto di vista? Come hai iniziato a scattare fotografie simili?

Ho cominciato a lavorare nell’ambito progettuale circa 20 anni fa, all’inizio tramite il percorso di foto materismo che consiste nell‘unione dell’immagine con la materia.

In questo senso, il mio progetto più importante è stato “Fino alla fine del mare” che, sempre con un occhio al sociale, era incentrato sulle barche dei migranti di Lampedusa abbandonate sulla spiaggia. Ho iniziato a scattare i particolari di queste barche.

Il cambio del punto di vista è avvenuto un giorno ben preciso: quando ho deciso di comprare uno di questi droni di cui all’epoca capivo ben poco.

Visto che ero a Procida e vedevo tante barche, mi sono chiesto come fossero dall’alto: all’ora di pranzo si avvicinavano tutte ed era molto divertente perché, dall’alto, questo avvicinarsi si trasformava in un senso di comunità. Mi sono poi accorto che questa prospettiva regala punti di vista interessanti che spesso nemmeno il cervello riesce ad immaginare. Era il 2015, da lì in poi è nata la volontà di raccontare non solo l’estate o l’inverno, ma in generale l’italianità, come noi italiani viviamo certi momenti di aggregazione come può essere un pranzo al mare, una gara, una festa o uno scudetto.


Scattando dall’alto tutti i soggetti ritratti appaiono sullo stesso piano, nessuno è più importante dell’altro. Possiamo dire ci sia una sorta di “democrazia” nelle tue fotografie?

Si, questo senso di democrazia nelle foto è un altro aspetto della ricerca sociale di cui parlavo prima. Non ci sono classi, non ci sono limiti territoriali e, a volte, il territorio interviene nelle dinamiche sociali. Non ci sono più confini. L’immagine perde la sua profondità e diventa quasi 2D, c’è un appiattimento che crea una percezione da parte di chi guarda totalmente diversa rispetto alle immagini “normali”.


È interessante anche il contrasto tra questa prospettiva dall’alto, più generalista, e quella più orientata ai dettagli di Massimo Vitali. Puoi dirci qualcosa di più su come dialogano?

In realtà abbiamo moltissime cose in comune. Massimo ha iniziato questa ricerca 30 anni fa ma l’analisi sociale è identica. Entrambi stiamo facendo lo stesso percorso di ricerca sociale e artistica e la cosa bella sono i due punti di vista diversi ma entrambi sospesi. Lui entra nella foto e se ne rende parte, si immerge nella scena che di conseguenza restituisce più dettagli; Io la vivo dall’alto e, forse, in maniera distaccata pur non essendoci alcun giudizio. Queste due cose dialogano bene, spesso fotografiamo gli stessi posti ( anche in momenti temporali diversi) e ne diamo due letture complementari.

Red Flag Rosignano Jacopo Di Cera Courtesy dell artista

Quali sono i tuoi riferimenti nella fotografia e nella storia dell’arte? 

Nei miei anni da studente a Roma, alle Officine Fotografiche, il mio principale maestro che ad oggi è anche mio curatore, è stato Massimo Ciampa. Ho avuto anche modo di approfondire i miei studi con diversi artisti e fotografi e chi mi ha completamente cambiato la vita è stato Oliviero Toscani. Con lui ho seguito un workshop di dieci giorni, molto faticoso, in cui ci ha stimolato a portare dei punti di vista diversi abbandonando quella che è l’abitudine di scappare, ma al contrario dare un moto emotivo al proprio scatto. Con lui ho iniziato a dare una progettualità alle mie fotografie, nel senso che ogni qualvolta iniziavo qualcosa poi c’era la voglia di continuare a raccontare. Toscani è stato sicuramente un’ispirazione e una guida per una visione diversa della fotografia e dell’arte in generale. Poi, riflettendo sulle immagini, stiamo comunque parlando di un’artista (rif. Toscani) che ci ha insegnato a togliere e non a mettere.

Altri nomi che posso fare di fotografi che mi hanno ispirato, sicuramente Ugo Mulas. Nei suoi libri e nei suoi racconti, con la sua semplicità ci ha insegnato tante cose come, per esempio, che non bisogna per forza andare lontano per trovare storie che hanno bisogno di una narrazione.

Nell’arte in generale, mi ritengo groupie di Chagall: se oggi ho bisogno di calmarmi cerco i suoi voli, i suoi colori e i suoi sogni perché su di me hanno moltissimo potere, nonostante non siano sempre immagini legate ad una positività.

Nel cinema, ho fatto da assistente a un fotografo che si chiamava Fabian Cevallos lui fotografava tutte star di Hollywood. Un giorno gli ho chiesto dei libri su cui poter studiare, eravamo nel suo studio in Umbria, e mi diede un libro su Caravaggio, dicendomi: il più grande fotografo da cui puoi imparare è lui. Abbiamo discusso tanto dell’uso della luce in Caravaggio.

Se potessi scegliere, quali altri posti oltre all’Italia, ti piacerebbe immortalare dall’alto? 

Per fascino mio personale, sto aspettando il momento giusto per andare in Islanda, dove c’è questo trittico tra il bianco del ghiaccio e della neve, il nero della cenere e il rosso della lava. La natura ci racconta sicuramente tante cose.

In realtà per adesso sono più focalizzato sul tema delle ombre perchè è un lavoro che faccio da diverso tempo; anche sui miei lavori invernali con la neve cambia la prospettiva; ma quello è un altro percorso, le anime che immortalo di manifestano in maniera completamente diversa. Non ci sono più persone sdraiate al mare ma in piedi che fanno cose e proiettano ombre sulla neve. Si crea una socialità totalmente diversa.

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