Fino al 5 marzo 2021, è aperta al pubblico, presso Palazzo Merulana, la mostra Roberta Meldini. Plastica linearità e sinuosa tridimensionalità, la prima grande mostra monografica retrospettiva, dedicata all’artista figurativa riminese a dieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 2011. La mostra, voluta dalla neocostituita Associazione “Roberta Meldini per l’Arte Contemporanea”, curata da Brigida Mascitti, è un’occasione rara per indagare, attraverso oltre cinquanta opere che vanno dagli anni Settanta sino ai Novanta del secolo scorso, quello che è stato il viaggio artistico, e di vita, di una delle più estroverse e versatili artiste del panorama nazionale della seconda metà del secolo breve che è stato il Novecento.
L’emozione viva dell’osservazione
Nativa di Rimini, classe 1930, Meldini si trasferisce giovanissima a Roma, appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, per studiare arte, conseguendo prima il Diploma di Liceo Artistico al celebre Istituto di Via di Ripetta e, in seguito, all’Accademia di Belle Arti, dove sarà allieva, tra gli altri, di Michele Guerrisi, Domenico Purificato e Giuseppe Capogrossi.
Approfondirà poi anche lo studio della scultura, delle arti grafiche e delle tecniche incisorie, anche quelle più antiche e desuete (si vedano i disegni a linea continua), delle quali si rivelerà essere un’ottima esecutrice.
Attiva per più di cinque decenni, fino ai primi anni del XXI secolo, Meldini fu una personalità poliedrica, eterogenea negli spunti di riferimento da cui il suo sguardo muoveva, così come lo era negli approdi verso cui spesso la sua ricerca la conduceva. Nell’Italia del secondo dopoguerra, accostarsi a tutto ciò che andava verso un recupero della forma e della plasticità, in particolare in chiave scultorea, era cosa ardua visto il post-modernismo performativo dilagante. La vicinanza a due personalità “di resistenza” come Guerrisi e Purificato, le fu sicuramente d’aiuto in tal senso, riuscendo a ricostruire una “plastica reinterpretata” personale, in cui la cultura figurativa del suo tempo non rinunciava mai all’originalità. Pur essendo profondamente attratta dalle forme pulite ed essenziali, come quelle di Marino Marini o Henry Moore e Costantin Brancusi – denotando una spiccata attenzione anche verso il panorama internazionale -, non rinunciava mai ad auto-denunciare di essere profondamente informata nel suo stile, al modo costruttivo dei grandi rilievi bronzei e marmorei del Quattrocento italiano (Donatello, Laurana per citare degli esempi) e, più oltre, anche alla scultura di Michelangelo.
Roberta Meldini, Donna con palla, china e tratteggio su carta, 1974 Roberta Meldini, Donna al sole 5, refrattario, 1999
Con gli occhi dell’artista
Carattere ricorrente tra le opere in mostra a Palazzo Merulana, è “l’elogio alla vita”, in qualsiasi forma –umana, animale o naturale- essa si manifesti. Tal elogio è sicuramente ben evidenziato e posto in risalto dall’esaltazione costante di un soggetto iconografico di riferimento che è la donna e, più in generale, il femminile in tutte le sue forme; la donna, attraverso il suo corpo, produce la vita e, in tal modo, contribuisce a dare corso all’esistenza. Le sue moderne Afroditi tondeggianti sono giacenti e oziosi luoghi di non azione, in cui il denso blocco volumetrico si carica di un significato quasi totemico; tante nuove “Veneri di Willendorf” che assumono significati espressivi, formali, psicologici, filosofici. Forme lisce e pulite, di pura avanguardia, s’increspano improvvisamente in modo lieve, che si scorge appena, denotando rughe, capelli, tratti somatici. Superfici appena incise, fanno trapelare i caratteri somatici, dando l’idea del movimento, che sembrano richiamare anche Medardo Rosso.
Parallela a questa vena, ve n’è un’altra, proveniente forse dal non-finito michelangiolesco, che la porta a esprimere e “portar fuori”, attraverso la sua produzione pittorica, una matrice ben più narrativa, quasi espressionista, come nei ritratti; in altri momenti, sembra interessarsi maggiormente al racconto, alla cronaca dei fatti della vita quotidiana, siano essi divertenti o malinconici, ma sempre ben incanalati dai colori dei suoi oli e delle sue tempere.
Gli animali, spesso resi in forma scultorea, sono sorprendenti sia per la varietà e qualità delle varie tecniche produttive adoperate, sia per il sentimento che da essi promana; quasi iperrealisti, fondono sapientemente osservazione diretta del reale ed analisi dei bestiari del passato (deve molto al Giambologna), che Meldini volge però in chiave spesso ironica, mettendoli al servizio del racconto delle pecche dell’essere umano.
Infine, notevole è anche la sua produzione grafica e la padronanza delle tecniche connesse alla sua realizzazione. Raramente i suoi disegni hanno l’aria di essere bozzetti propedeutici ad altro, ma sono spesso dotati di dignità artistica propria. La donna, anche qui, ne emerge regina, con la sua massiccia fisicità, con i suoi volumi densi e tridimensionali resi però da una linea veloce, sottile, arricchita da colori puri. Tutto ciò reso ancora più prezioso dall’esiguo numero di lastre di zinco incise – una trentina – per le sue acqueforti, dalle quali ogni soggetto difficilmente veniva poi ristampato più di sessanta volte, con tirature piuttosto limitate.