CONVERSATION PIECE | PART VII – Verso Narragonia

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Verso Narragonia è il titolo della settima edizione della mostra collettiva Conversation Piece, ospitata negli spazi espositivi della Fondazione Memmo dall’8 febbraio al 1° luglio 2021. Il titolo allude ad un luogo mitico, Narragonia, descritto dallo scrittore alsaziano Sebastian Brant nel poema satirico La Nave dei folli (Das Narrenshift), dato alle stampe nel 1494. Il libro racconta le peregrinazioni di un’imbarcazione stipata di personaggi considerati folli, non conformi, emarginati, indesiderati: Narragonia è l’infelice e mai raggiunta meta di approdo di questa nave di esiliati, abbandonati al loro destino, privi di una guida e per tanto destinati al naufragio, reale e simbolico. Nel testo de La Nave dei folli si tratteggia un’umanità varia, in cui ogni deroga alla norma o alla morale, ogni forma di alterità o presunta devianza è tacciabile di pazzia.  

Jos de Gruyter&Harald Thys, 23 Teste, 2018. Veduta dell’installazione alla Fondazione Memmo. Courtesy: Galerie Isabella Bortolozzi, Berlin; Micheline Szwajcer gallery, Antwerp; gli artisti. ph. credit Daniele Molajoli

Partendo dalla considerazione della labilità del concetto di “follia” nel corso della storia e dall’accezione negativa che ne viene data nel poema di Brant a proposito della Stultifera Navis, Micheal Foucalut promuove un ribaltamento di tale paradigma moraleggiante: nella Storia della follia in età classica, pubblicata da Foucault nel 1961, l’allontanamento di ciò che è diverso, degli elementi disturbanti per l’ordine costituito, rappresenta una forma di coercizione a disposizione dell’establishment attraverso cui reprimere le voci dissonanti o i comportamenti non-ortodossi. In quest’ottica, folle è chi si pone al di fuori di un sistema, chi muove delle critiche ad esso, chi asseconda un principio di alterità. 

È in questa potenzialità sovversiva della “follia” e nel germe di creatività in essa insito che risiede la chiave interpretativa della settima edizione di Conversation Piece, a cura di Marcello Smarrelli, che vede artisti di nazionalità diverse, ma tutti legati a Roma, confrontarsi sul tema dell’eccentricità, della deformazione della realtà, del perturbante, in un momento storico come quello attuale, straniante ed inedito, pertanto profondamente “artistico”. 

Apolonia Sokol, La nave dei folli, 2021. Olio su tela, telaio di legno curvato. 400 x 180 x 85 cm. Courtesy: The Pill gallery, Istanbul; l’artista. Ph. Credit: Daniele Molajoli

Gli artisti

Gli artisti ospitati interpretano ciascuno secondo la propria grammatica il tema proposto, creando all’interno della mostra una narrazione coerente pur nella diversità delle opere presentate. Apre il percorso espositivo l’istallazione 23 Teste del duo belga composto da Jos de Gruyter & Harald Thys: una galleria “lombrosiana” di teste mozzate, una dissacrazione della follia e del grottesco attraverso cui normalizzare personaggi più o meno scomodi, perversi, in alcuni casi malvagi, ma tutti con delle “zone d’ombra”.

Jos de Gruyter&Harald Thys, 23 Teste, 2018. Veduta dell’installazione alla Fondazione Memmo. Courtesy: Galerie Isabella Bortolozzi, Berlin; Micheline Szwajcer gallery, Antwerp; gli artisti. ph. credit Daniele Molajoli

Segue l’opera pittorica di Apolonia Sokol, in residenza presso l’Accademia di Francia di Villa Medici. La sua è una rielaborazione immediata ed esplicita del soggetto della Nave dei folli, secondo un’interpretazione contemporanea e personale: i suoi folli sono persone reali, legate al vissuto e alla realtà quotidiana dell’artista, ma filtrate attraverso lo sguardo deformante dell’osservatore. Il lavoro presentato è sensibile alle istanze del femminismo intersezionale, mostrandoci una schiera eterogenea di figure in cui il concetto di femminilità è esteso ad abbracciare una categoria ampia, non definita secondo un criterio esclusivamente biologico. 

Apolonia Sokol, La nave dei folli, 2021. Olio su tela, telaio di legno curvato. 400 x 180 x 85 cm. Courtesy: The Pill gallery, Istanbul; l’artista. Ph. Credit: Daniele Molajoli

Chiude la mostra la produzione di Benedikt Hipp, artista proveniente dall’Accademia Tedesca di Villa Massimo, in cui architettura, scultura e pittura si integrano sapientemente: forme organiche smembrate, residuali, vicine alla dimensione del “figurabile”, si compongono in un gioco complesso di dissezioni e assemblaggi, generando un paesaggio psicologico inquieto, cupo e perturbante.

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